News – «La violenza dilaga e le donne in fuga sono senza rifugi». Le vittime spesso costrette a una “lista d’attesa”. Madre e bimbo in cerca di posto in casa protetta

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27 Settembre 2016

Anche nell’assistenza a una donna che subisce violenza talvolta capita di parlare di liste di attesa. È capitato in questi giorni a una donna con un figlioletto che ha chiesto aiuto a un centro antiviolenza di Torino. «Non possiamo più rimanere a casa perché mio marito mi fa del male e il mio bambino non può restare a guardare ancora. Chiedo un posto per la nostra salvezza». Le case rifugio dell’associazione però, in tutto cinque appartamenti disponibili, in quel momento erano occupate da altre “ospiti”. «Cosa fare in quei frangenti? L’unica soluzione è restare ad aspettare – spiega Anna Maria Zucca, presidente dell’associazione Donne & Futuro -. Per quella donna sono state trovate altre soluzioni per fortuna, ma la lista di attesa esiste anche nell’assistenza alle donne che subiscono violenza, purtroppo».

Nell’attesa di una sistemazione, secondo i racconti delle operatrici che lavorano quotidianamente con il dramma della violenza di genere, le donne, che molto spesso hanno al loro fianco un bambino, trovano accoglienza nei pronto soccorsi oppure bussano alle porte di istituti religiosi o di comunità e ci restano fino a quando una casa rifugio sarà libera.

Questo spiega che proteggere le donne dalla violenza non è cosa facile. «Insieme, associazioni, istituzioni, forze dell’ordine, centri antiviolenza e case rifugio nella nostra regione stanno facendo un grande lavoro ma servono altre risorse per potenziare la rete. Stiamo lavorando affinché tutti gli attori in campo parlino lo stesso linguaggio» ha spiegato ieri Anna Maria Zucca nel corso dell’ultima giornata di incontro del progetto Help che è partito 18 mesi fa ed è stato finanziato dalla Regione Piemonte.

Ricordando altresì i numeri di un dramma che non vede fine: con più di mille donne seguite dal 2006, Donne & Futuro risponde ora a quattro richieste di aiuto a settimana, registrando ogni anno 100 nuovi casi. «È aumentata la gravità della violenza» ammette la presidente, spiegando che «alcune donne sono costrette a pratiche sessuali non gradite o a rapporti sessuali non desiderati, ad assistere a scene pornografiche o a riprodurle, oltre a subire molestie sessuali e brutalità fisiche».

E ancora dati. «Se prima erano le donne adulte, tra i 40 e i 50 anni, a chiedere aiuto, oggi hanno dai vent’anni in su e hanno molto spesso dei bambini». Il dramma nel dramma è che ancora poche si rivolgono ai centri antiviolenza: «Sono solo l’1,5% e quelle che chiedono aiuto alla rete sono il 5% delle donne totali che vivono in situazioni di violenza». Presente all’incontro di ieri anche l’assessore regionale Monica Cerutti che ha sottolineato il valore aggiunto della legge regionale 4 del 24 febbraio. «La legge ha riconosciuto il valore dei centri antiviolenza del privato-sociale prima esclusi dai finanziamenti».

Liliana Carbone